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Paura, soldi, vergogna: mai avuti

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Tag: sofferenza

Sala da tesa

Mi sono guardata intorno alla ricerca di un segno di famigliarità, fino a quando una chitarra elettrica e un paio di amplificatori mi hanno confermato di essere nel posto giusto. Rincuorata, mi sono lasciata sprofondare nella poltrona e ho messo a fuoco una collezione di lamette vintage incorniciate e appese al muro. Bizzarra scelta per la sala d’aspetto di uno psicologo.

Da piccola pensavo si chiamasse SALA DA TESA, e in effetti sarebbe adatto.

“È la prima volta per me” – “E perché hai deciso di venire?”. Ho aperto la bocca e non è uscito niente, la gola mi si è stretta in una morsa, le lacrime hanno cominciato a scendere contro la mia volontà di trattenerle, e lui – come nel più classico dei film americani – mi ha allungato una scatola di kleenex. Alla fine del mio racconto ha detto: “Mi dispiace ma non posso aiutarti”. Non ho nevrosi da interrompere o fantasie da decostruire: ho solo una storia di merda dalla quale devo imparare a prendere le distanze. “In questo sì, posso aiutarti con un paio di sedute”.

Al secondo incontro ha parlato prevalentemente lui. Ha fatto una panoramica della filosofia greca, mi ha descritto le teorie di Spinoza sul conatus e la sfera del diritto, ha detto che sono una grande comunicatrice, che ascolto su due livelli di comprensione, che non è cosa da tutti, poi ha chiuso con una frase che mi ha molto colpita: “Quello che ti è successo ti ha distrutto il paradiso. Nella tua situazione un adulto avrebbe detto ok, scopro oggi che il mondo è fatto anche di dolore, menzogne, tradimenti e inganni: ne prendo atto e vado avanti. Tu, in maniera infantile, hai detto ok, se il mondo è fatto di dolore, menzogne, tradimenti e inganni, io non voglio vivere”.

Nella terza seduta ha parlato prevalentemente lui. Ha fatto una panoramica della psicologia moderna, mi ha descritto gli stati dell’io, ha detto che sono troppo poco spietata, troppo poco vendicativa, mi faccio trattare come un oggetto, non mi fido abbastanza di me stessa, ma sono cambiata, ho fatto progressi enormi in sole due settimane, poi ha chiuso con una frase che mi ha molto colpita: “Quello che hai vissuto non si può cancellare, rimane. Puoi solo disegnare una nuova mappa per vivere la tua esistenza e cercare di lasciare pochissimo di te nei vecchi solchi che ti lasci alle spalle”. 

In 43 anni di vita (grama) non ero mai stata da uno psicologo. Ho sempre pensato che l’intelligenza dei miei amici e gli esorcismi letterari che pratico su questo mio spazio personale sarebbero bastati a salvarmi da qualsiasi dolore. Ma una persona che non si concede mai di soffrire riesce a trovare una giustificazione anche per non accettare l’empatia di chi le sta intorno: “Dicono che ho una storia di merda perché mi vogliono bene”, “Mi compatiscono per compiacermi”, “Non vogliono vedermi stare male”. Lo psicologo, invece, non ti conosce e non gliene frega un cazzo di te, se non delle banconote che gli lasci sul tavolino tra i kleenex e l’agenda. Sentirmi dire da un professionista che ho una storia di merda è stato come avere la prova clinica che ne posso soffrire, come se il pensiero di avere una gamba rotta fosse molto meno doloroso fino alla visione di una lastra che ne testimonia la frattura. E adesso ok, puoi piangere. Per la tua gamba rotta e pure per la tua storia di merda.

Ho sempre avuto un debole per le cose piccole, per i dettagli irrilevanti, per gli esseri viventi poco considerati. Non a caso ho creato un blog in cui posto foto di cose abbandonate a terra, a cui nessun altro è solito fare caso. Da bambina mi portavo in casa di tutto: rospi, scarabei, pipistrelli, ero cresciuta insieme a un’oca di nome Quiqui e al piccione Aquilanera che – ricorda sempre mia madre – consideravo genuinamente “i miei unici amici”. Ho vissuto in case accoglienti ma minuscole, creato via via un mondo interiore pieno di eroi fantastici e cavalieri senza macchia, nel quale lentamente mi sono rifugiata al riparo da un’umanità che evidentemente mi piaceva sempre meno.

A 43 anni mi sono trovata prigioniera del mio mondo interiore. So che non si direbbe, visto il carattere espansivo e caciarone che mostro in compagnia, ma io sono il genere di persona che subisce in silenzio. Per tutta la vita ho pensato che stare nel mio fosse l’unica soluzione per tenere insieme la mia famiglia – quella biologica e quella sentimentale -, incollando i pezzi di relazioni distrutte con una colla fatta di segreti (di altri) e sensi di colpa (miei). Ma questa miscela oleosa di bugie e dolore è sempre più difficile da ingerire, e ha imputridito tutti i miei organi interni: i polmoni non respirano, lo stomaco non assimila, il cuore è moribondo.

Sono il tipo di persona che va dallo psicologo e lascia che a parlare sia prevalentemente lui. Però poi le cose che dice (e che a quanto pare io ascolto su due livelli) entrano nella carne annerita come una spada di luce (grazie Maestro Yoda) e rimescolano tra le macerie dei miei sentimenti, alla ricerca di qualche radice di speranza che abbia resistito al deserto.

Sono giorni che mi esce dalla bocca tutto quello che non ho mai detto a persone a cui pensavo di aver detto tutto; giorni in cui incontro nei luoghi più impensati persone a cui pensavo di avere tantissime cose da dire, ma una volta di fronte a me non mancava niente, era già tutto detto, alles klar. Giorni in cui le mie amiche dicono che sono simpatica anche se ho smesso di nascondere dietro il sarcasmo la mia emotività. Giorni in cui mi sento più autentica, più presente, più fedele alla me stessa che un tempo era libera da quei macigni calcificati dal silenzio. Leggera.

Certe volte il conflitto non è la cosa più dolorosa che possa capitare: sminuirsi in silenzio può essere molto più devastante. Mettere via il mio malessere in favore di un’eterna allegria di facciata mi ha resa un pupazzo inanimato, un clown incapace di innamorarsi, una bambola trafitta da ogni genere di abbandono come se fosse il primordiale. Ci sono volute tre sedute di terapia per ricordarmi del mio amore sconfinato per la natura, della mia capacità di ascolto e accoglienza, della mia innata dolcezza. Ci è voluto un sacco di coraggio per rispolverare cristalli tenuti al buio da 40 anni, e mostrarli al mondo senza curarsi troppo di chi sarebbe rimasto accecato oppure abbagliato dal loro riflesso. Ho avuto un grande aiuto ma mi sono aiutata. Ho deciso che in un mondo fatto di menzogne e tradimenti, almeno io posso essere limpida, autentica e fedele a me stessa. E sono la persona più importante per me, forse l’unica di cui aspetto di innamorarmi da una vita.

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Fedus Senza categoria Lascia un commento 11 ottobre 202211 ottobre 2022 5 Minutes

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L’autrice:

Fede

Ex giornalista, ex entusiasta della vita, ex del mio ex. Oggi precaria, single lady e grammar nazi. Per quanto sia difficile da credere, quel che leggete è ispirato a fatti realmente accaduti a me medesima. Le foto le ho scattate io stessa a cose che ho trovato casualmente per terra.

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