Essere persone sarcastiche è una condanna, perché alla fine ci tocca fare dell’ironia anche su cose sulle quali non ci sarebbe un cazzo da ridere.
Sono reduce da un’esperienza agghiacciante, che il mio psicologo dice che dovrei esorcizzare trasformandola in un racconto tragicomico, così eccomi qua per la gioia vostra e di quel pervertito che mi ha reso il weekend scorso un inferno.
Una settimana fa ho subito tre giorni di molestie telefoniche e stalking da un tizio che sostiene di guardarmi tutti i giorni, che mi ha chiamata nel cuore della notte al cellulare con un numero privato, che mi ha gettata in una spirale di panico e terrore che francamente non avevo mai avuto il dispiacere di provare prima.
Nell’unica chiamata alla quale ho risposto per disperazione, mi ha detto con fare viscido di conoscere il luogo in cui lavoro, le mie abitudini, un amico comune che gli avrebbe dato il mio numero; indignandosi poi per la mia reazione violenta di chiusura, per lui incomprensibile visto che LO VEDE COME LO GUARDO. Sì, esatto, ha pronunciato proprio quelle frasi da film horror, quelli che io non guardo mai proprio perché mi terrorizzano.
Le mie amiche hanno detto che avrei dovuto sbugiardarlo, mia madre (sempre dalla mia parte, anche nelle tragedie) ha detto che avrei dovuto fargli domande per capire quanto realmente sapeva di me. Io mi sono limitata a chiamare il 113, farmi venire un attacco di ansia al telefono con una poliziotta, cercando di gestire la tachicardia mentre fissavo dalla finestra il mio giardino improvvisamente buio e angusto.
Nel giro di 50 secondi ho infilato in una borsa il cibo del cane e il cane stesso, ho attraversato di corsa il giardino fino all’auto, e ho guidato sotto shock (e in pigiama) per 15 km fino al paese in cui vivono i miei genitori. Il resto del fine settimana sono stati due giorni di privazione totale del sonno e della serenità, passati prevalentemente a passeggiare come uno zombie (in pigiama e ciabatte pelose) per il piccolo paese di campagna in cui sono cresciuta.
Sono varie le sensazioni che ti assalgono quando ti succede una cosa del genere. La prima è la paura. Un terrore gelido, nero, che ti entra nel sangue e raffredda tutto il corpo fino a renderlo trasparente e tremolante. Una volta ripresa una temperatura umana, ci si sente fragili come una statua di cristallo piena di pensieri ossessivi, che sbattono contro le pareti interne del proprio corpo.
Mi sono sentita estremamente sola.
Se avessi un compagno, se convivessi, se avessi un uomo pronto a salire sull’auto per correre a casa mia a traquillizzarmi e vegliarmi, ora non sarei in questo stato di terrore e paranoia. Se qualcuno mi amasse, mi tutelerebbe dalle brutture della vita. Se qualcuno mi apprezzasse per come sono, accoglierebbe anche questa mia fragilità immensa, che io non ho saputo come gestire per tre lunghissimi giorni. Se ci fosse un’altra persona accanto a me, non dovrei occuparmi da sola di tutto, non sarei costretta a prendermi sempre cura di me stessa e del mio cane, anche in momenti in cui non ne ho la forza. Questo ho pensato.
Non credevo di avere una buccia tanto sottile. Non pensavo che il panico generato da un insieme di parole potesse assottigliare le mie sicurezze fino a farmi sentire così indifesa. Me ne sono vergognata, tanto per cambiare. Mi sono sentita troppo emotiva, troppo travolta, troppo sensibile, troppo paurosa, troppo condizionabile, troppo infantile. In fondo è stata SOLO una telefonata dopo una serie di chiamate senza risposta – ho pensato – chissà cos’avranno pensato di me le amiche che ho chiamato piangendo, chissà quanto avrà riso la polizia postale dopo che me ne sono andata dal loro ufficio.
La domenica ho inforcato un paio di grandi occhiali da sole e ho deciso di andare a fare una passeggiata in città (in pigiama e ciabatte pelose) per rimontare subito in sella alla vita vera (si fa per dire). Camminando senza meta sotto il portico in uno stato pietoso – di quelli che Laura Palmer spacchettata in spiaggia aveva un colorito più florido del mio – quel burlone del mio destino mi ha fatto incontrare per caso un HC (Human Case) per il quale avevo inspiegabilmente perso la capoccia l’estate scorsa, salvo poi rendermi conto di essere di fronte all’ennesimo soggetto psicologicamente instabile in cerca di una terapeuta agratis (story of my life).
Come se la mia tenuta da ospedale psichiatrico non fosse sufficiente per far capire il tenore del mio stato mentale, alla domanda di rito “Come stai?” ho risposto trattenendo una lacrima: “Beh, diciamo che ho avuto giorni migliori di questo. Quasi tutti a dire il vero”. Risposta? “Ah ok, allora ciao”.
Ah se stai di merda ok. Ah se non dormi da tre giorni ok. Ah se giri per il centro di Bologna vestita come una senzatetto con gli occhi gonfi di lacrime e lo sguardo vitreo ok. Ah se la perversione di qualcuno ha minato gli unici due luoghi della tua vita in cui ti sentivi al sicuro e libera di essere te stessa (casa e lavoro) ok.
È incredibile come la vita faccia tutto il possibile per sbatterti in faccia quanto ti stai sbagliando. Perché il punto non è tanto avere accanto qualcuno, convivere, domire nello stesso letto, avere in salotto il cartonato di figura maschile che con la forza del patriarcato tenga lontani maniaci e malintenzionati, ma che poi quando gli dici che è uno dei giorni più orribili della tua vita risponda “Ah ok”. Il punto è, ancora un volta, avere vicino qualcuno che ci veda, che ci capisca, che accolga le nostre emozioni e le consideri sempre valide, per il solo motivo che le stiamo provando e questo toglie ogni dubbio sulla loro veridicità.
In questa esperienza agghiacciante ho vissuto quel che c’era da vivere al momento, poi ho messo in dubbio i miei sentimenti, infine ho capito che il mio terrore è valido per il semplice motivo che l’ho provato, e lo è anche il mio senso di solitudine per gli stessi motivi. Mi terrò ben stretti quei pochi amici che erano lì con me mentre tutto succedeva, che mi hanno capita, accudita, pensata, accompagnata. Per tutti gli altri: “Ah ok, allora ciao”.
PS: La mia esperienza di molestie telefoniche è durata tre giorni, ho potuto contare sui miei genitori, ho avuto la fortuna di incontrare una poliziotta super comprensiva e amichevole alla prima telefonata, e un poliziotto estremamente empatico alla denuncia. Mi sono chiesta tante volte come riescano altre persone ad affrontare tutto questo per settimane, mesi o anni, magari senza il supporto di una famiglia o delle forze dell’ordine. Anche se ne ho avuto solo un piccolo assaggio, non avrei mai pensato che lo stalking potesse essere così spaventoso e invalidante. Sono vicina col cuore a tutte le vittime di questa pratica assurda, e spero che le pene diventino sempre più aspre per chi la perpetra. A tutti mi permetto di consigliare di non dare il proprio numero di telefono con leggerezza, non rispondere mai ai numeri privati e avere sempre fede nella propria forza interiore.