Il team maiunagioia si aggiorna e diventa team unasolagioia. Nel bel mezzo di una pandemia mondiale, tra un bonifico dell’Inps da 4 euro e 70 ed un semaforo di ordinanze che ha reso la mia vita sentimentale più noiosa di un libro di Garcia Marquez, ho trovato lavoro, grazie soprattutto al mio merito culo and a little big help from my friends.
Torno a fare la giornalista, o meglio: c’è di nuovo qualcuno che mi paga per fare quello che so fare, per essere quello che mi sento di essere. Almeno una delle mie personalità avrà uno stipendio.

Non ho mai pensato che il mestiere facesse la persona, non ho mai ritenuto che la tipologia di impiego fosse una discriminante nelle relazioni, o che aggiungesse/togliesse valore alla qualità di un essere umano. Ho conosciuto imprenditori ignoranti e superficiali, e ristoratori con una cultura smisurata ed un’intelligenza raffinata.
Io stessa sono stata barista, giornalista, cameriera: sono stata dietro le quinte dei reality Rai e nelle cucine dei ristoranti, ho servito per anni cocktail al Covo e intervistato Phil Collins e John Malkovich, sono stata a feste fighette a pochi metri da Lou Reed e a parlare di socialismo fino all’alba con il mio fruttivendolo. Sono stata per dodici anni fidanzata con un giornalaio, a cui devo buona parte di quella cultura musicale che mi ha portata ad essere oggi quello che sono. In una “vita” o nell’altra, io non mi sono mai giudicata, in molti lo hanno fatto per me.
C’è sempre una sorta di spietatezza nel valutare gli altri, che nasce dal non tenere mai conto di quello che stanno attraversando. Si chiama mancanza di empatia. Negli ultimi anni la mia esistenza è stata ribaltata da una lunga serie di eventi catastrofici, che avrebbero mandato in clinica anche Osho Rajneesh. Io ho resistito a tutto e sono sopravvissuta. Le alternative erano finire in una vasca di Xanax oppure aggrapparsi al mio non-pregiudizio: io sono sempre io, qualunque cosa faccia per pagarmi l’affitto. Questa consapevolezza ha fatto da scudo a tutti i “giornalista fallita”, ai “talento sprecato”, agli sguardi pietosi degli amici, alla delusione sul volto dei miei genitori. Per me il mio talento non era sprecato, ma convogliato su questo blog dove ho la libertà di scrivere quello che mi pare, che ho fatto completamente da sola e che mi regala costantemente soddisfazioni immense e personalissime. Non mi sono mai sentita una fallita, perché i meriti ottenuti nella mia precedente carriera sono rimasti indelebili nel mio cuore, sulle riviste per cui ho scritto, e anche nel curriculum vitae che oggi mi ha riportata su quei binari.
Sia chiaro che sono molto felice. Non nascondo che nella settimana trascorsa tra il colloquio e la firma del contratto avevo il settimo cielo dentro e facevo fatica a tenerlo tappato. Mentirei se dicessi che non ho ballato al telefono con la zia Ivana o che mio padre non aveva gli occhi lucidi quando gliel’ho detto. E ammetto anche di aver provato un lieve e passeggero sentimento di rivalsa nei confronti di tutti quelli che ritenevano che le mie ambizioni giornalistiche dovessero spegnersi per sempre, e che forse godevano dentro le viscere di questo pensiero.
Nonostante tutto non mi pento di niente. Non mi vergogno più dagli anni Novanta, di certo non di quello che ho fatto o di quello che sono. Guardo con dolcezza a quello che sono stata negli ultimi anni e con soddisfazione a quello che sono ora. Il mestiere non fa la persona, ma io fin da piccola ho sempre voluto fare la giornalista o la camionista e, come dico spesso, sono soddisfatta di essere riuscita a realizzare entrambi i miei desideri.
P.S.: Sulla gente ganza che fa lavori umili qualche anno fa scrissi questo articolo su Rolling Stone, di cui vado ancora abbastanza fiera. Non giudicate il cameriere: potrebbe essere il vostro musicista o scrittore preferito.
Bellissimo articolo, posso riproporlo martedì sul mio blog?
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Certo Filippo! Quando vuoi :-*
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