Oggi in piscina – oltre ad aver scoperto che nuoto molto più velocemente io con una gamba distrutta delle vecchie che si ostinano ad occupare la corsia VELOCE – ho ascoltato la playlist da boomer che mi sono fatta per ricordare come si stava meglio quando si stava meglio, e che ho intitolato “Boulevard Nostalgia” (e chi coglie la cit godrebbe sicuramente anche del mix).
Niente come la musica è capace di riportarmi emotivamente ad un momento preciso: ci sono canzoni che ho smesso di ascoltare con frequenza per non compromettere il ricordo a cui sono fissate. Così, tra una bracciata e l’altra (le ho doppiate tutte, ste vecchie), tra un pezzo dei Blink-182 e uno dei Jimmy Eat World, ho rivissuto i mille concerti, le grigliate, le serate in cui ci siamo dovuti fermare a far sboccare qualcuno a bordo strada e quelle in cui abbiamo rinunciato e ci siamo messi a dormire all’autogrill di Imola. Ho riso sott’acqua ripensando a quella volta in cui appena sveglia ho trovato Sandro con addosso la mia giacca di tartan e gli occhiali gialli seduto al piano a suonare Elton John, al giorno in cui Salo è ruzzolato giù dalla collina del Parco Nord durante il live dei No Use For a Name, alla seratona dei Too Many Djs in cui nessuno si è ricordato di rimanere sobrio per guidare il furgone, a quante volte ho costretto il mio miglior amico a cantarmi “I miss you” imitando le voci e gli accenti di Tom DeLonge e Mark Hoppus. E poi i festival, i tatuaggi, i concerti, fare i baristi in tutti i locali, fare l’alba tutte le sere, piangere, ridere, parcheggiare la 126 gialla nei luoghi più impensati. Non sarei quella che sono se non avessi avuto quelle cassette dei Green Day che nove volte su dieci si incastravano nell’autoradio, e che comunque a malapena riuscivo a sentire a causa del rumore assordante che faceva il motore.

Sono un paio di mesi che ripenso a chi sono. Non so se sia dovuto al fatto che sono anch’io una vecchia di merda che crede di nuotare veloce, a tutto quel tempo a disposizione per guardare il soffitto e rimuginare, a questo anno strambo appena iniziato in cui ho già rischiato di morire un paio di volte.
Prima di essere travolta da un insolito destino ho conosciuto un ragazzo che vive e ragiona con dinamiche completamente avulse dalla consuetudine e dalle aspettative. Ovviamente – non essendo lui un caso umano – non abbiamo nessuna relazione sentimentale, non so nemmeno se possiamo dire di essere amici, o se esiste un’etichetta per tutti i barattoli relazionali che questa pandemia ha riempito, ma credo comunque che le lunghe settimane isolata a parlare con lui siano state per me illuminanti. Lui è se stesso sempre. Non ha filtri, non ha vergogna: ride, piange, si incazza per delle stronzate, a volte è un bambino, a volte super saggio, lo appassionano un sacco di cose diverse e non si imbarazza nemmeno quando sono antitetiche tra loro. E a me piace. Sono rapita da questa totale demolizione di ogni modello, l’anarchia rispetto a interazioni consolidate, il fregarsene delle coerenza perfezionistica dei personaggi costruiti. Si può essere se stessi. Sempre. Lui lo fa.
Gli ultimi anni li ho spesi a cercare di essere qualcun altro, ho fatto di tutto per appartenere a gruppi dai quali mi sentivo esclusa, ho cercato di adattarmi, di misurarmi, di censurarmi quando le mie richieste mi sembravano illegittime. Mi sono vergognata dei miei desideri, qualche volta anche della mia casa, del mio cane, della mia famiglia, mi sono sentita spesso non all’altezza del ruolo in cui mi ero ficcata da sola. Ho scelto di accettare relazioni in cui io non ero neanche considerata, a piangere sparizioni, ad accontentarmi, svilirmi, sentirmi insicura perché privata di qualsiasi attenzione, a mettere da parte me per fare spazio all’ego smisurato di qualcun altro. Si può essere se stessi. Sempre. Lui lo fa.
Nel limbo tra l’adolescenza selvaggia e la saggezza della mezza età mi sono fatta un sacco di male per riuscire a ricordarmi chi ero e tornare a volermi bene. È bizzarro che succeda ora, in uno dei periodi apparentemente più bui e difficili della mia esistenza, ma forse questo è il proverbiale fondo da cui comincio a risalire. Sono felice di essermi ritrovata, un po’ ammaccata ma ancora felicemente polemica e testarda come quella ragazzina che ascoltava i Social Distortion su una 126 gialla. E se vi va bene così ok, altrimenti spostatevi che ho delle vecchie da superare.