Let It Be

Se gli ultimi anni della mia vita fossero trascritti nella sceneggiatura di un film, il regista sarebbe Lars Von Trier. E ne ricaverebbe un’opera delle sue, in cui un’accozzaglia più o meno casuale di sfighe e nonsense farebbe impazzire la protagonista-casoumano (io), e tutti gli spettatori che uscirebbero dal cinema con la schiena da bidone dell’umido per la tensione.

Avevo una vita piena, io. Fino a cinque anni fa. Poi si è rotto l’incantesimo, Saturno è entrato in qualche trigono di merda, il Signore si è ricordato che una volta a 6 anni ho spinto mio cugino, il karma ha cominciato a farmi pagare la vita precedente (in cui evidentemente dovevo essere Hitler), invidie e gelosie del passato si sono unite in un turbine di sfortuna che ha travolto la mia esistenza fatta di fiori e farfalline.

Avevo una vita piena. Un fidanzato buono e amorevole, con cui convivevo dall’età di 23 anni, un lavoro figo per il quale avevo studiato e fatto sacrifici per vent’anni, avevo amici, soldi, viaggiavo, andavo ai concerti, compravo cose, mi divertivo. Ero felice, o almeno così mi sembra di ricordare, perché nella mia storia – come nei film degli scandinavi – è tutto talmente sfuocato che non percepisco più il confine tra sogno e realtà.


Era quasi l’alba al bancone del vecchio Link, quando Max mi disse che Let It Be dei Beatles era proprio la sua canzone. «Devi lasciare che le cose facciano il loro corso, Fede: lascia che sia». Avevo 21 anni, e al tempo quelle sue parole mi sembrarono il delirio alcolico del mio amico strambo con le occhiaie. Perché io avevo tutto e nessunissima intenzione di mollare niente. Anni dopo, quando Max morì per una stupida polmonite, capii che quelle sue parole profetiche avrebbero segnato la mia vita, e al suo funerale, con in mano un vecchio walkman e le casse del pc bagnate di lacrime da cui uscivano le note di Let It Be, diedi inizio ad una lunga serie di addii.

Avevo una vita piena, poi ho dovuto lasciare andare. Avevo una carriera avviata che si è interrotta bruscamente in lacrime (mie) e sangue (sempre mio), avevo un’idea di famiglia perfetta che ho dovuto abbandonare quando ho scoperto che mio padre non era il supereroe che credevo, ma una persona come tutte le altre, con difetti e brutture e persino debolezze. Avevo una storia d’amore straordinaria, che ad un certo punto non sembrava più tanto straordinaria, e così è finita. Avevo un’amica che mi tirava fuori di casa quando ero triste per portarmi a passeggiare, poi una notte si è tolta la vita e ora sono triste anche quando esco per passeggiare.


Ho capito, Max. Let it be. Ci provo, ma non è che sia così facile affrontare una crisi di mezza età, quando l’età anagrafica è quella giusta ma il cuore è ancora un adolescente che vuole tenersi stretti tutti gli amici scomparsi, tutti i fidanzati lasciati, tutti i sorrisi lontani e tutte le soddisfazioni irripetibili. Avevo una vita piena che non voglio dimenticare, così mi trovo qui, in un limbo di attesa e insoddisfazione, dove mi aggrappo capricciosa al passato mentre il futuro mi allunga le braccia.

Negli ultimi cinque anni la mia esistenza è andata in frantumi, le mie certezze si sono scardinate, tutto quello che conoscevo è stato travolto e spazzato via da un’ondata nera di dolore che ha sradicato ogni speranza. Non sapevo bene cosa fare, così ho preso tempo, raccolto le macerie, costruito una zattera per non affondare: sono sopravvissuta. Ora sono pronta per scendere a terra e provare a ricostruire.

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