Quando vivevo a Milano assistevo sempre ai saluti tra i miei due amici toscani: «Sicché?» domandava Jacopo, «Sicché niente» rispondeva Gilberto, poi si partiva verso il Frida con una sigaretta in bocca.
Ecco la mia quarantena è una lunga serie di “Sicché niente”, intervallati da qualche (non) contatto con umani dalla pelle pixelata e lunghi scambi di consapevolezze con le mie amiche romagnole, che di tempo per rimuginare direi che ne abbiamo in abbondanza.
Tralasciando i miei profondi e non richiesti pensieri sul cosmo e le infamate ai casi umani che frequentano le app per incontri, la cosa che mi ha stupito di più dell’isolamento forzato è che si è trasformato un po’ per tutti in una sorta di indulto sentimentale, una benedizione urbi et orbi (ma soprattutto orbi), uno spargimento di seconde possibilità neanche fossero granaglie ai piccioni.

Al giro di boa della quarta settimana chiusa in casa da sola con quel martire del mio cane, comincio ad aspettare con ansia i saluti da giardino a giardino col mio vicino geppo, che fino ad oggi avrei sempre preso a sprangate nella schiena perché lascia che suo figlio sociopatico giochi a pallone in casa, facendomi rivivere ogni fottuto giorno il terremoto dell’Irpinia. Si parla sempre e solo di argomenti futili e poltica livello base, ma tra uno «Speriamo che i no vax abbiano imparato qualcosa» e i consigli non richiesti sulle aziende agricole della zona «Che è sempre meglio comprare dagli italiani», mi verrebbe quasi voglia di tirare giù il muro di lauro che ho fatto crescere negli anni proprio per non guardare in faccia il poveretto.
Poi c’è il pelatone che vive sopra ai geppi, che io ho sempre snobbato perché è il classico palestrato color cuoio con i rayban a goccia, però al giorno 28 di reclusione, ho cominciato a sistemarmi prima di uscire in giardino la mattina, perché il geppo sarà anche sepolto da una siepe di quattro metri, ma il manzo muscoloso dal terzo piano mi vede e mi sorride ogni mattina mentre suda a torso nudo sulla cyclette sistemata sul terrazzino di un metro quadro e prende il sole, che non sia mai che si sbiadisca senza lampade. (Ecco, diciamo che con lui potrei aver rovinato tutto quando l’altro giorno mi sono addormentata sulla sdraio ancora ubriaca dalla skype call della sera prima, e temo abbia anche zoomato sulla striscia di bava che ho lasciato sull’edizione economica di Please Kill Me).
Non parliamo poi di amici che non sentivi dal tempo in cui eri nei lupetti e ti insegnavano cose utilissime per la tua vita adulta come cagare in un cesso chimico o incidere il tuo nome su un tappo di sughero, o quelli che hai conosciuto ad una dancehall in Salento 185 anni fa, quando nemmeno ti ricordavi il tuo di nome, figurarsi quello del fricchettone con i cani: in questo periodo sono tutti grandi amici bubicachiluli, e stavolta davvero la cena la facciamo, e poi prometto che vengo a trovarti, e ti posso garantire che ti ho pensato sempre in questi 93 anni di assenza, no – ma scherzi – tvb tantissimo anche io. Da quando non puoi parlarci, ogni essere umano sta davvero combattendo una battaglia di cui non sai nulla, ma ora vorresti conoscerne anche il minimo dettaglio. Qualsiasi voce non “metallizzata” dal segnale di merda del WiFi è una possibile interazione umana, ogni sorriso scambiato dietro la mascherina mentre imprechi in coda alla Coop è un segnale che ancora non sei un vampiro, ma un animale sociale che sta soffrendo la totale mancanza di convivialità.
Di contro – e qui lascerò di stucco i miei quattro fan accaniti – tutta questa mancanza di abbracciatone con i miei colleghi polacchi, tutto questo non toccarsi, non parlarsi, non annusarsi, tutto questo bisogno di amicizia e condivisione, tutta questa nostalgia delle chiacchiere a notte fonda davanti ad una pinta di Augustiner fresca (e al barista figo), ha preso il sopravvento sulla mia ricerca spasmodica del grande amore. Ho cominciato a bloccare gli stalker da social network (ah raga è una dipendenza, una volta imparato volevo bloccare anche il mio medico di famiglia), ho aperto e chiuso dopo sole otto ore il mio primo profilo su una app per il dating online (i dialoghi erano fantastici: «Ah fai l’infermiere, sarai impegnatissimo immagino» – «Sì. Quanto sei alta?»), e ho accettato l’idea che posso sopravvivere anche se non ho qualcuno a cui mandare la buonanotte.
Del resto il buongiorno posso darlo al vicino geppo di là dalla siepe, posso sorridere al pelato col petto lucido del terzo piano, e magari hanno ragione le mie amiche e finita la quarantena la daremo a tutti quelli che ce la chiederanno, ma per ora quel che mi manca di più sono i sorrisi, la complicità, le carezze, e forse anche la splendida casualità con cui fuori da qui puoi incrociare lo sguardo benevolo di qualcuno senza doverti dare appuntamento su Zoom.
Non temere: quarantena finita, tempo un paio di giorni e torneremo stronzi e insofferenti come prima. Anzi peggio: perchè non ci toccheremo più nemmeno per salutarci, oppure ci spalmeremo l’amuchina subito dopo.
Ma non è fantastico? 😀 😀
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Purtroppo è molto probabile che accada, anche se francamente spero che tutti noi conserveremo qualche insegnamento da questa esperienza.
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